Perché l’errore non è un inciampo, ma un dispositivo didattico potente
Capita spesso di porre una domanda in classe e riscontrare sguardi evasivi, sentire qualcuno sussurrare “Spero che non dica a me”, oppure di osservare uno studente che, dopo un errore, chiude il quaderno e rinunci a proseguire. Per molti ragazzi l’errore non è un evento neutro: è un luogo emotivo in cui si sentono giudicati, dove l’attenzione smette di andare al contenuto e si sposta sulla paura di “non essere abbastanza”.
Eppure, proprio l’errore è uno dei più potenti strumenti di apprendimento che la scuola ha a disposizione. La ricerca degli ultimi vent’anni lo conferma con forza crescente: sbagliare, quando il contesto lo permette, attiva processi di comprensione, regolazione e crescita che nessun apprendimento lineare riesce a generare. Questo articolo nasce per mostrare non solo che sbagliare serve, ma come gli insegnanti possono trasformare l’errore in un motore pedagogico quotidiano.
Perché parlare di errore oggi
La scuola continua a essere un contesto in cui l’errore è spesso associato alla valutazione, all’insufficienza, alla mancanza. Molti studenti interiorizzano presto l’idea che sbagliare significhi fallire, e che fallire significhi “non essere capaci”. Questa forma di failure mindset non riguarda solo il modo di affrontare un compito, ma il modo in cui si percepisce la propria identità di apprendenti. Gli studi più recenti mostrano che questa mentalità influenza profondamente non solo le emozioni, ma anche i processi cognitivi: chi vive il fallimento come minaccia tende a evitare sfide, a non rischiare cognitivamente e a rinunciare a strategie nuove per paura di sbagliare. Al contrario, percepire l’errore come un’informazione utile, un dato e non un giudizio, supporta approcci più flessibili e resilienti all’apprendimento. In questo quadro, parlare di errore oggi non è un vezzo pedagogico: è una necessità per formare studenti capaci di affrontare complessità, incertezze e problemi aperti.
Cosa dice la ricerca: la funzione cognitiva, emotiva e sociale dell’errore
1. L’errore come attivatore cognitivo
Le ricerche nel campo dell’educational psychology mostrano che l’errore non è solo un indicatore di mancanza, ma un potente attivatore di processi cognitivi e metacognitivi. Il modello GE/DCE (Zhang & Fiorella, 2022) evidenzia che l’apprendimento dagli errori avviene in due fasi:
• GE – Generazione dell’errore, che attiva conoscenze pregresse, inferenze errate ma utili, collegamenti semantici che preparano il terreno all’apprendimento corretto.
• DCE – Riconoscimento e correzione, fase in cui lo studente deve monitorare, confrontare, spiegare, regolarsi: un potente esercizio di autoregolazione che rinforza memoria, comprensione e consapevolezza delle strategie usate.
Senza queste due fasi, e senza errori, molti di tali processi non si attiverebbero spontaneamente.
2. La dimensione emotiva: la differenza tra reagire e apprendere
Non tutti gli studenti reagiscono allo stesso modo agli errori. Dresel e colleghi (2025) mostrano che esistono due grandi famiglie di reazioni:
• reazioni adattive: curiosità, perseveranza, regolazione dello sforzo, ricerca di strategie;
• Reazioni disfunzionali: ansia, evitamento, senso di inadeguatezza, blocco.
Il dato più rilevante è che queste reazioni non dipendono solo dallo studente, ma dal clima scolastico: l’error climate percepito in aula influisce sul modo in cui gli studenti interpretano l’errore e sulla loro disponibilità a trarne beneficio. In un contesto in cui l’errore è visto come fallimento personale, la risposta emotiva tende ad essere paralizzante. In un contesto in cui l’errore è parte del percorso, gli studenti mostrano maggiore motivazione e persistenza.
3. La dimensione sociale: il ruolo dell’insegnante e dei pari
Spesso si pensa che l’atteggiamento verso l’errore sia solo una questione individuale: dello studente, o al massimo dell’insegnante. In realtà, come mostrano Steuer et al. (2021), l’error climate è una costruzione profondamente sociale: nasce da rituali, pratiche dipartimentali, abitudini comunicative, e coinvolge non solo docenti e studenti, ma anche famiglie e leadership scolastica.
Una scuola che dà valore all’errore:
• parla di errori senza stigma,
• normalizza la revisione,
• evita la cultura del “voto immediato”,
• promuove il confronto tra pari,
• sostiene il rischio cognitivo,
• condivide criteri e pratiche comuni tra insegnanti.
L’error climate, quindi, non è solo “un buon insegnante che accoglie l’errore”, ma l’espressione di una cultura professionale condivisa.
Errori, fallimenti e apprendimento: una cornice più ampia
La rassegna di Narciss & Alemdag (2024) evidenzia che l’apprendimento dall’errore dipende dall’interazione tra quattro componenti: contesto, caratteristiche individuali, processi cognitivi ed emotivi e strategie didattiche. Il punto cruciale è che questa interazione può generare due esiti radicalmente diversi:
• uno studente che sbaglia e si blocca;
• uno studente che sbaglia e cresce.
La differenza non sta nell’errore in sé, ma nelle condizioni che lo circondano e nel modo in cui lo studente è stato allenato a interpretarlo. Questa interpretazione, che è un mix di mindset, esperienza, clima sociale e pratiche didattiche, determina la qualità dell’apprendimento che seguirà.
Come portare tutto questo in classe: strategie operative
Portare una pedagogia dell’errore in classe non significa introdurre nuove attività complesse, ma ripensare il modo in cui interpretiamo ciò che accade durante l’apprendimento. Gli errori non sono semplici incidenti di percorso: rappresentano segnali cognitivi, emotivi e relazionali che indicano dove lo studente si trova, quali strategie sta usando e quali nuove connessioni potrebbe costruire. La ricerca mostra con chiarezza che gli studenti imparano di più quando possono analizzare e discutere apertamente i propri errori, in un clima in cui sbagliare è considerato un atto di partecipazione e non una minaccia alla propria autostima.Per aiutare docenti e classi a trasformare questa visione in pratiche quotidiane, la tabella che segue raccoglie sei strategie operative, ognuna corredata dalla sua funzione pedagogica e dal corrispondente riferimento teorico emerso dagli studi che hai caricato. Non si tratta di tecniche isolate, ma di micro-interventi che, integrati nella routine della classe, possono modificare in profondità il clima dell’errore e sostenere modalità di apprendimento più flessibili, sicure e consapevoli.
| Strategia | In cosa consiste operativamente | Quale processo favorisce |
| 1. Normalizzare l’errore attraverso il linguaggio | Utilizzare frasi che esplorano l’errore (“Vediamo cosa ci sta dicendo questo errore”, “Cosa possiamo imparare da qui?”) per ridurre la dimensione minacciosa e introdurre un atteggiamento investigativo. | Regolazione emotiva, riduzione dell’ansia, partecipazione più sicura. |
| 2. Introdurre una routine di analisi dell’errore | Guidare gli studenti a interrogarsi sulle cause dell’errore, confrontare soluzioni, rivedere strategie. Utilizzare schede, discussioni o comparazioni tra versioni. | Attivazione metacognitiva; consapevolezza del processo; apprendimento profondo. |
| 3. Creare spazi protetti per il rischio cognitivo | Offrire attività non valutate, brainstorming, domande preliminari, problemi aperti. Favorire risposte “di prova” senza conseguenze. | Costruzione di reazioni adattive; disponibilità a tentare; riduzione del perfezionismo. |
| 4. Modellizzare il processo di correzione | Mostrare apertamente come si corregge un errore, esplicitando passaggi, dubbi e criteri. | Sviluppo della metacognizione; apprendimento osservativo; legittimazione dell’errore come parte del processo. |
| 5. Lavorare con esempi errati (erroneous examples) | Presentare errori commessi da altri e ragionare su cosa non funziona e perché, attraverso discussione guidata. | Capacità di diagnosi, anticipazione delle difficoltà, consapevolezza strategica. |
| 6. Separare l’errore dalla valutazione immediata | Predisporre momenti di lavoro non valutativi; rimandare la valutazione alla fase finale del processo. | Maggiore disponibilità a esporsi, a sperimentare e a porre domande. |
Le strategie presentate non sono semplici accorgimenti metodologici, ma elementi fondanti di una competenza professionale docente: la capacità di gestire l’errore come leva didattica e non come minaccia. Tuttavia, nessun insegnante può sostenere questa trasformazione da solo. La costruzione di un error climate positivo richiede un impegno corale di team: confronti dipartimentali, linguaggi comuni, politiche valutative coerenti, comunicazioni con le famiglie che valorizzino il processo più della performance. Una scuola che investe sull’errore non è soltanto una scuola “più gentile”: è una scuola più competente, più equa, più orientata all’apprendimento autentico.
Una scuola che non punisce il tentativo
Promuovere una pedagogia dell’errore significa costruire un contesto educativo in cui sbagliare è parte riconosciuta e accolta del processo di apprendimento. La letteratura mostra che gli studenti sviluppano reazioni più adattive, una maggiore resilienza e competenze metacognitive più solide quando vivono l’errore non come un fallimento personale, ma come un’informazione utile per crescere. L’error climate, però, non nasce nel silenzio della classe: è il risultato di norme condivise, scelte valutative, linguaggi familiari, leadership educative. Una scuola che valorizza l’errore è una scuola che valorizza la complessità, la ricerca, il dubbio, la costruzione di significato più che la semplice prestazione.
Integrare pratiche come l’analisi degli errori, la modellizzazione della correzione o la creazione di spazi sicuri per il rischio cognitivo significa accompagnare gli studenti verso una forma più matura di apprendimento: non lineare ma riflessiva, non protetta ma esplorativa, non orientata all’evitare lo sbaglio ma al comprenderlo.
L’errore è il luogo in cui il pensiero si muove, si mette alla prova, si allunga verso nuove connessioni. È un laboratorio cognitivo ed emotivo che, se sostenuto da un clima positivo, permette agli studenti di diventare più consapevoli, più coraggiosi, più competenti. La domanda per ogni docente allora non è più: “Come evitare gli errori?”, ma: “Quali opportunità posso offrire affinché ogni errore diventi una conquista?” È da qui che nasce una scuola capace di formare apprendenti resilienti, critici e responsabili: una scuola che non teme il fallimento, ma lo riconosce come la sua più preziosa occasione di crescita.
Giulia Toti, psicologa e psicoterapeuta, è dottoranda in Educazione, Linguaggi e Culture presso l’Università LUMSA. La sua ricerca si concentra sulla formazione docenti e la visione professionale in ambienti digitali, includendo empowerment cognitivo, prevenzione della dispersione scolastica, ambienti di apprendimento digitale e sviluppo professionale docente.

